Una piccola colonia romana Lugnano alias Molina di Quosa

Nella campagna che corre lungo la base occidentale del Monte Pisano, tra i numerosi paesetti che si distribuiscono a corona lungo l’asse viario che collega Pisa a Lucca, si incontra Molina di Quosa, una tranquilla località immersa nel verde dei suoi monti, che la circondano come in un abbraccio.

Un tempo, più o meno duemila anni fa, il paese, che appare nell’ attuale configurazione non era esattamente così; Molina di Quosa non esisteva affatto, nonostante che l’area su cui si estende attualmente, tra il monte ed il piano, sia stata abitata fin dalla preistoria (lo confermano i numerosi resti umani e di animali rinvenuti nell’Ottocento nelle Grotte di Parignana: famoso è il dente dell’ippopotamo del Serchio, specie scomparsa che aveva il suo habitat naturale nella vallata). Dall’ epoca romana si hanno tracce significative di una colonia sul luogo, (cioè un’azienda agraria con abitazione signorile), nella centuriazione e nelle vie di comunicazione (elemento della presenza romana è sicuramente la strada Pisa-Lucca), attestate anche da numerosi reperti archeologici e strutture superstiti rinvenute sul posto e nei dintorni. molina passeggiataI romani erano degli specialisti nel recupero di superfici per la produzione agricola, e la zona, percorsa dai fiumi Serchio, Auser e Tubra (quest’ultimo scomparso), era sottoposta a frequenti inondazioni che provocavano acquitrini e paludi; da ciò, la necessità di continui e consistenti interventi di arginatura, di contenimento delle acque e di bonifica al fine di rendere la terra coltivabile e abitabile. La “Colonia” era considerata un affidamento, e Coloni furono detti coloro che avevano ottenuto in premio questi frazionamenti di terra centuriali per qualche servizio reso alla Repubblica romana, come era d’uso nel costume romano. In Valdiserchio si ebbero numerosi luoghi occupati dalla colonizzazione romana. Nell’area in questione si incontrano i nomi di Apunianum o Aponiano, Metellius, Patrinio, Leonis o Leoninus, che si riferiscono alle rispettive aziende agrarie ubicate nell’ attuale Pugnano, Mutiliano (tra Pugnano-Ripafratta), Patrignone, e Lugnano, per citarne alcuni; nomi di proprietari romani che dettero la denominazione alle località. Il toponimo prediale di Lugnano, area occupata dalla “colonia” romana e che corrisponde all’ attuale Molina di Quosa, sembra che derivi da Leonius, o meglio Leoninus (da cui volgarmente Lugnano), proprietario del fondo su cui fu eretta la villa signorile con gli annessi di una fattoria debitamente recintata e con tanto di torrette di sentinella. L’azienda era ubicata nel luogo dove attualmente sorge la cinquecentesca Villa Gaetani, oggi Studiati-Berni. La villa, come risulta dai numerosi reperti archeologici rinvenuti nel recinto e nei dintorni (Pugnano), doveva essere ben arredata, confortevole, insomma la residenza di un gran signore. Si deve ricordare che tra i reperti fu rinvenuta anche la testa marmorea di Giulio Cesare, probabilmente resti di un mezzo busto del ritratto dell’Imperatore, a testimonianza dell’arredo delle ville della zona e dell’interesse dei proprietari nell’adeguarsi al costume allora in voga. Infatti, Giulio Cesare si trovava nella vicina Lucca, provincia romana dove aveva sede il più grande presidio militare Cisalpino. Si può dunque ipotizzare una qualche visita di Cesare ai coloni della zona, distante dal capoluogo appena sei miglia. Nel IV al VIII secolo, con l’arrivo delle orde di popoli barbari dall’Est, le efficientissime aziende agricole romane della zone furono rase al suolo o arse. I terreni del piano furono completamente abbandonati all’incuria del tempo, tornarono solo dopo molti anni civilizzati e produttivi. Il territorio pisano-lucchese fu occupato dai Longobardi i quali, a differenza di altri popoli si stabilirono nella zona. La popolazione del “piano” che, durante la sottomissione romana, aveva vissuto tranquillamente per lo più a servizio delle fattorie, ora affamata e in preda al terrore di fronte a tale inaudita violenza, trovo scampo sul monte dove si rifugiò nelle grotte o spelonche naturali, così numerose in questa zona, e vi rimase. Col passare degli anni e con il placarsi della furia barbarica, i Longobardi formarono con la popolazione del luogo degli insediamenti che a poco a poco si affermarono come comunità in cui regole di convivenza civile, etica e spirituale venivano accettate da tutti, nella condivisione dei principi cristiani concretizzati dalla costruzione delle prime chiese, e delle chiese “monastiche” o monasteri. Infatti, pare che la storia di Molina di Quosa abbia inizio durante il dodicesimo anno di reggenza del Re Liutpdrando, quando fu eretto sul monte, in località Quosa, uno dei primi monasteri cristiani con annessa chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. E’ lecito ipotizzare che, a seguito della costruzione di un modesto nucleo demico chiamato Quosa, o Cuoza (dal nome del nervoso rigagnolo), si sia costituito il primitivo villaggio addossato al poggio lungo il borro, allo scadere del VII secolo d.C.. Il borgo, Lugnano, si formò lentamente nei secoli come insediamento pedemontano nell’ area che in epoca romana si identificava nella villa e fattoria di Leoninus, che fin dall’Alto Medioevo cominciò a chiamarsi Corte di Lugnano , ossia uno dei tanti latifondi, sebbene in pessimo stato, tornati in possesso dell’Imperatore, o meglio della Corte Regia. La Corte di Lugnano venne meglio identificandosi come bene possessorio nel momento in cui Ottone III, con un diploma imperiale, privilegiò Manfredo o Maginfredo da Ripafratta con la concessione delle Corti di Pugnano, Lugnano e di Laiano, presso Filettole, assieme ai monti di Ripafratta ed alcuni terreni alle porte di Pisa. Nella concessione imperiale erano comprese persone e cose che già esistevano nel territorio che, automaticamente, passavano di diritto al signore beneficiato (nel caso Manfredo). Manfredo dette origine ad una delle Consorterie più importanti e temute di quest’area a Nord-Ovest di Pisa: i Da Ripafratta. Non si esclude, pertanto, che tra i beni ottenuti, fosse già compresa la chiesa di Santa Lucia di Lugnano, o forse fu edificata dagli stessi Da Ripafratta, comunque di loro spettanza possessoria e di juspadronato. Attorno all’XI, XII secolo, riconosciuta l’importanza sul piano economico dell’impiego dei mulini ad acqua importati dai Crociati, venne presa in considerazione la possibilità di costruirne anche a Molina sfruttando l’energia idrica del rigagnolo Quosa. Così il luogo di Quosa, in cui, nell’ Alto medioevo, si erano rifugiate intere famiglie di servi e contadini del piano, ebbe un improvviso sviluppo demografico e edilizio grazie alla costruzione di numerosi opifici che ininterrottamente, notte e giorno, provvedevano alla molitura dei prodotti cerealicoli ed alla spremitura delle olive. Gli opifici ospitavano mulini e frantoi funzionanti con macine di pietra sospinte dal torrente che si precipitava a valle dalle balze, sistemati in modesti locali, quasi inagibili, in quanto superfici strappate al monte scosceso. Grazie ai mulini, Molina, o meglio Mulina e l’area circostante, raggiunse una notevole importanza economica, sostenuta dalla ricchezza proveniente dal monte e dal recupero, seppure lento, dei fertili terreni del piano. Suscitando l’interesse economico e politico in particolare di Lucca, a cui il territorio era soggetto e che fece di tutto per tenerselo. Così Molina venne ad essere un importante centro produttivo di sostegno all’economia delle Repubbliche di Lucca e di Pisa. Lucca tenne il territorio incastellato in suo possesso per diverso tempo; Pisa, suo malgrado, si accorse troppo tardi del potenziale economico-politico-sociale del territorio e corse ai ripari nel momento in cui rivolse i propri interessi alla conquista dell’entroterra, strappando il luogo alla rivale. Ovviamente, per difendere i rudimentali opifici andatisi via via perfezionando nelle meccaniche della lavorazione, si impose subito la necessità di potenziare la difesa del luogo con un castello che vigilasse sull’attività molitoria, sui boschi, sulle vaste estensioni di oliveti e sulle foreste di castagni che, dalle balze di “Ciapino”, si dilatavano fin sul versante lucchese finendosi nel poggio più elevato, battuto dai venti in ogni stagione e perciò definito i “Quattro Vènti”. Il territorio, appartenne alla Repubblica di Lucca per oltre un secolo; i Pisani riuscirono a riconquistarlo solo nel 1286, e appena tornato nelle loro mani, rafforzarono le difese dotando il già robusto e strategico cassero di una torre (mastio), di varie torrette di guardia, di un alto muro di cinta e di diversi serramenti tra il vecchio castello, e la nuova struttura militare. La vita degli antichi Molinesi doveva svolgersi principalmente sul monte, cioè nel villaggio che fino alla fine dell’Ottocento rileva la più alta densità abitativa. Un andirivieni di gente con braccia nerborute, chine sotto il peso di sacchi di frumento, di castagne, di olive, di cereali, spesso con l’aiuto di somari dal basto stracarico per alleviare le fatiche di una salita irta e tortuosa. Quando l’economia locale divenne prevalentemente dipendente dall’attività molitoria, l’espressione popolare più consona alla località divenne Mulina, per cui, proprio per ragion di popolo, non si esitò a cancellare l’antica toponomastica di Lugnano e di Quosa, per meglio attribuire alla borgata la specificità operativa, e fu chiamata prima Mulina, poi Molina di Quosa. Tra il Cinquecento e l’Ottocento, particolarmente in quest’ultimo secolo, si ebbe un progressivo aumento di mulini. Si contano circa trenta opifici suddivisi in specifiche attività: molini e frantoi. Di questi antichi “mulini” non è rimasto neppure un esemplare a memoria. Dagli anni cinquanta del nostro secolo, quel moto e quel rumore di granitiche macine che per secoli, giorno e notte ininterrottamente, come una musica monotona ma preziosa, aveva abituato gli orecchi di intere generazioni, cessò definitivamente di pervadere i silenzi notturni.

Testi e foto, riadattati sono tratti dal volume : Molina di Quosa e la sua storia (con breve appendice storica di Colognole e Patrignone) di Mario Noferi, edito dalla casa editrice Editgrafica Orsini – cooperativa Coccapani – Pisa.

Per maggiori info potete visitare: wikipedia.org/wiki/Molina_di_Quosa