Le Torri

TORRE CENTINO

Il sistema difensivo di Ripafratta era completato da questa torre che – congiuntamente alle vicine Torre Niccolai e alla cosiddetta Torre di Pugnano – occupava un rilievo isolato e garantiva il necessario controllo su un sentiero di scorciatoia e di aggiramento della rocca di Ripafratta, posto fra Cerasomma e Pugnano. La torre, edificata all’inizio del XIII sec., aveva pianta quadrilatera ed era protetta esternamente da un recinto ottagonale. Sostanzialmente integra, La fortificazione, fu mantenuta in esercizio fino al XV sec., quando venne soppiantata con l’introduzione delle armi da fuoco.
Bibliografia:

NISTRI G., San Giuliano. Le sue acque termali e i suoi dintorni, Pisa, Fratelli Nistri, 1875
REDI F., Le fortificazioni medievali del confine pisano-lucchese nella bassa valle del Serchio. Strutture materiali e controllo del territorio, sta in: COMBA R.- SETTIA A., Castelli: storia e archeologia. Relazioni e comunicazioni al Convegno tenuto a Cuneo il 6-8/12/1981, Regione Piemonte, 1981

TORRE NICCOLAI

Torre quadrilatera, risalente al XIII sec., apparteneva al sistema difensivo gravitante intorno alla rocca di Ripafratta, di cui difendeva un percorso d’aggiramento. Ancora in buono stato di conservazione, la Torre Niccolai continuò fino al XV sec. a svolgere le sue mansioni militari.
Bibliografia:

NISTRI G., San Giuliano. Le sue acque termali e i suoi dintorni, Pisa, Fratelli Nistri, 1875
REDI F., Le fortificazioni medievali del confine pisano-lucchese nella bassa valle del Serchio. Strutture materiali e controllo del territorio, sta in: COMBA R.- SETTIA A., Castelli: storia e archeologia. Relazioni e comunicazioni al Convegno tenuto a Cuneo il 6-8/12/1981, Regione Piemonte, 1981

LE TORRI SCOMPARSE

Durante il periodo medievale numerose furono le torri, sulle pendici dei Monti Pisani, che completavano il sistema di avvistamento e difesa sul confine pisano-lucchese. Avevano ruoli diversi ed una diversa importanza strategica, ma insieme costituivano un’efficace rete di segnalazione che manterrà una piena funzionalità fino quasi al XVII sec.. Le torri dovevano essere in contatto visivo una con l’altra, secondo una maglia capillare, per poter comunicare con specchi e segnali di fumo durante il giorno e con il fuoco di notte. Nell’area in esame, poi, essendo impossibile il controllo visivo diretto fra Lucca e Pisa, tali fortificazioni assumevano un’importanza fondamentale. La presenza di un vasto sistema montuoso ed in particolare del Monte di San Giuliano – conosciuto anticamente come Monte Pisano ”..perché i Pisan veder Lucca non ponno..” – richiedeva, infatti, un sistema puntuale di aggiramento.
Un primo excursus relativo alle antiche torri scomparse non può che iniziare con la Torre di San Giuliano (Loc. La Torraccia), fortificazione che occupava un poggio isolato, il Monte di San Giuliano, compreso fra due catene montuose. La presenza di una poderosa torre quadrilatera, posta al culmine del rilievo, è attestata nei documenti medievali fin dal 1274. Oltre a svolgere una funzione segnaletica, controllava contemporaneamente le due importanti vie di comunicazione tra Lucca e Pisa: il cosiddetto Passo di Dante e l’attuale strada pedemontana fra San Giuliano Terme e Ripafratta. L’importanza strategica della fortificazione era tale che le condizioni della Pace di Montopoli, trattata nel 1329, prevedevano la sua distruzione. Non sappiamo se questa venne intrapresa, ma in tal caso la torre fu in seguito ricostruita. Il suo definitivo smantellamento fu compiuto nel 1397 dai suoi stessi proprietari, i Lucchesi, per evitare che cadesse in mani pisane. La Torre di San Giuliano si collocava esattamente al centro del sistema segnaletico che, da Ripafratta – con le già nominate torri Centino e Niccolai (ma anche con la “Torre di Pugnano”) – arrivava fino Cornazzano, in prossimità delle porte di Pisa. Procedendo da Nord verso Sud, tale sistema poteva avvalersi di diverse fortificazioni, oggi purtroppo scomparse.
La prima è la cosiddetta “Torre del Fiume” che coadiuvava la difesa del borgo di Ripafratta, sviluppatosi intorno al XIII-XIV sec. come insediamento di sbarramento sulla strada pedemontana fra Lucca e Pisa. Il borgo possedeva una cerchia muraria, interrotta da due torri-porta d’accesso, sovrastanti la strada principale nelle due direzioni. Una di queste, la più importante, era la Torre del Fiume che controllava il Serchio verso Lucca ed assolveva il fondamentale compito di riscossione dei pedaggi. Conservatasi in discreto stato fino alla metà del Novecento, la torre fu fatta saltare dai tedeschi nel 1944.

La Torre di Mucchieto, risalente al XIII sec., dominava un piccolo rilievo a sud di Rigoli. Nel medioevo rivestiva un ruolo strategico minore, come stazione intermedia di segnalazione fra Quosa e S.Giuliano e di controllo visivo puntuale sull’area in cui la valle del Serchio si allarga in direzione del litorale.
La Torre di Tabbiano, invece, controllava un unico comprensorio agricolo, localizzabile oggi tra il “Podium Sacti Iacopi” e S. Martino a Ulmiano. Citato dal 1048, tale comprensorio era individuato dal toponimo Tabbiano e difeso da una torre in pietra, oggi ancora visibile per un’altezza di dieci metri. Questa costituiva la prima opera fortificata della valle del Serchio pisana, insieme alla Torre di Cornazzano, distante poche centinaia di metri e distrutta dalle truppe tedesche sempre nel 1944. Solo un disegno ottocentesco di Rohault de Fleury ne tramanda oggi il ricordo.
Bibliografia:
AAVV, Il fiume, la campagna, il mare, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, 1988
FABIANI F., Le torri di Tabbiano e di Cornazzano, sta in: Antichità Pisane, Pisa, S.e., 1998
NISTRI G., San Giuliano. Le sue acque termali e i suoi dintorni, Pisa, Fratelli Nistri, 1875
REDI F., Le fortificazioni medievali del confine pisano-lucchese nella bassa valle del Serchio. Strutture materiali e controllo del territorio, sta in: COMBA R.- SETTIA A., Castelli: storia e archeologia. Relazioni e comunicazioni al Convegno tenuto a Cuneo il 6-8/12/1981, Regione Piemonte, 1981
ROHAULT DE FLEURY C., La Toscane au Moyen Age. Architecture civile et militaire, Vol. I e II, Parigi, V.A. Morel, 1869-‘73
SERCAMBI G., Le croniche, a cura di S. Bongi, sta in: Fonti per la storia d’Italia, Lucca, Tip. Giusti, 1892
SERCAMBI G., Le illustrazioni delle Croniche nel codice Lucchese, a cura di: Banti O. e Testi Cristiani M.L., Genova, Silvio Basile Editore, 1978

LA ROCCA

IL CASTELLO DI RIPAFRATTA: NOTE STORICHE

Il castello di Ripafratta costituiva nel medioevo la chiave di volta dell’intero sistema fortificato che presidiava il confine pisano-lucchese. La sua favorevole posizione, dall’alto del Colle Vergaio (dominante quindi sulla stretta gola scavata dal Serchio), permetteva il controllo (e la riscossione del pedaggio) sui traffici fluviali e viari fra Lucca e Pisa. La citazione già nel 970 dei nobili Da Ripafratta, autorizza a datare intorno al X-XI sec. la costruzione di una prima torre feudale, a base quadrata, sulla cima del rilievo. Ripafratta compare, infatti, subito nella prima guerra comunale fra Lucca e Pisa (1002-’04), come località nella quale i Lucchesi dovettero rapidamente ritirarsi. Dal primo documento che menziona il castello (1085), apprendiamo che la fortificazione, per la sua importanza, aveva già attratto intorno a sé un primo nucleo abitato anch’esso difeso da mura.
Il passaggio dall’obbedienza lucchese a quella pisana, sancito tramite la donazione nel 1100 al Comune di Pisa della metà del castello, causò appena quattro anni dopo la ripresa delle ostilità fra i due stati rivali. Motivo del contendere erano, per i Lucchesi, le gabelle che i nobili di Ripafratta esigevano sulle mercanzie che dal territorio lucchese passavano in quello pisano. Ripafratta fu allora occupata (1105) ed i suoi castellani imprigionati. Il castello, ripreso subito dai Pisani, fu ancora protagonista nei conflitti comunali fra Lucca e Pisa che ebbero un parziale arresto con la ratifica della Pace di Ripafratta (1158), la quale sanciva una tregua di dieci anni. Durante questo periodo il Comune di Pisa intraprese un programma di ristrutturazione delle sue principali fortificazioni. A Ripafratta (1162-’64) fu edificata una vera e propria rocca castellana, con un recinto a pianta poligonale irregolare (occupato al centro dal mastio quadrangolare) ed altre due torri adiacenti alle mura. Un’altra cerchia muraria concentrica proteggeva il piccolo nucleo abitato a ridosso del castello.
La sconfitta di Badia S.Savino (1254), costrinse i Pisani a cedere Ripafratta (tramite i Fiorentini) ai Lucchesi, che ne mantennero il possesso fino alla disfatta della Lega Guelfa (Montaperti, 1260). Ancora un’altra sconfitta, stavolta da parte pisana (Battaglia della Meloria, 1284), alla quale seguirono nuovi rovesci, portò i Pisani a patteggiare nuovamente delle condizioni di pace. Queste, ratificate dal conte Ugolino della Gherardesca, inclusero il passaggio di Ripafratta ai Lucchesi (1285). Il castello, ripreso da Uguccione della Faggiola nel 1313, fu ulteriormente ampliato nel 1323. Dopo la parentesi castrucciana, durante al quale Ripafratta fu occupata per patti, il castello fu nuovamente rinforzato (1350).
Particolare attenzione dedicarono i Fiorentini alla postazione, dopo l’avvenuta conquista del territorio pisano (1406). Nel XV sec., i Pisani tentarono inutilmente d’affrancarsi dal dominio fiorentino tentando più volte di occupare Ripafratta, senza mai riuscirci. Sedata la loro resistenza, i Fiorentini intrapresero la completa ristrutturazione del castello, aggiornandolo alle nuove esigenze militari. Furono cimate le torri medievali e, su progetto sembra di Giuliano da Sangallo (con pareri di Leonardo), vennero avviate profonde modifiche strutturali, quali la costruzione di ampie scarpe addossate alle mura del recinto e di rivellini contrapposti (delegati alla difesa dell’unica porta d’accesso). Con la definitiva affermazione del potere fiorentino, il castello nel XVI sec. perse gradualmente d’importanza tanto da risultare abbandonato nel 1607. Allivellato nel 1628 ad Orazio Angelini, fu trasformato in fattoria granducale, fino a che non fu acquistato nel 1845 dalla famiglia Roncioni (discendente diretta dei nobili Da Ripafratta).

LA CHIESA

STORIA DELLA CHIESA DI SAN BARTOLOMEO APOSTOLO IN RIPAFRATTA

Venendo da Pisa verso Lucca lungo la 12 dell’Abetone, a Ripafratta nel centro del paese, la strada si allarga e noi chiamiamo pomposamente “piazza” quello slargo, e anzi, “piazza della Chiesa”, perché la Chiesa vi si presenta, con la sua facciata neoclassica, abbastanza maestosa. Se qualcuno vi fosse arrivato nel 1944, prima della Chiesa, si sarebbe imbattuto in una colonna di pietra scura, che era il simbolo della “podesteria” di Ripafratta. Ora non c’è più perché in quegli anni un carro armato americano ubriaco andò a sbattervi contro e la buttò in terra, sgretolando così secoli di storia. Ma siamo alla facciata della Chiesa. In alto nel triangolo che chiude la facciata, si vede uno stemma di marmo murato, con il simbolo della famiglia dei Roncioni, che avevano sulla chiesa di Ripafratta (con Avane) il “ius-patronatus”, cioè avevano il diritto, alla morte di un pievano, di presentare dei nomi all’attenzione del Vescovo per la nomina del nuovo pievano dell’antica Chiesa pievania, dedicata all’apostolo S. Bartolomeo. L’ultimo pievano ad essere nominato con questo diritto medioevale sono stato io nel 1950, il 27 di agosto. Ai piedi della facciata ci sono tre scalini di pietra dura. Non sono semplici scalini per entrare in Chiesa, ma hanno una storia, e terminano con un piccolo spiazzo lastricato. Su quegli scalini e su quello spiazzo, quando non fa più freddo, da sempre si radunavano e si radunano giovani e non più giovani per chiacchierare, stare insieme, fare spuntini (una volta a base di semini, ora molto più ricchi e abbondanti, visti i resti lasciati sul posto). L’ingresso alla Chiesa è segnato da un grande portone con gli stipiti di pietra serena. Guardando dal di fuori specialmente quello di sinistra, si vedono della scanalature, dovute all’appuntire la punta delle umili trottole di legno con in cima un chiodo, per farle scorrere più veloci e più a lungo. Su quello spiazzo di pietra dura i ragazzi giocavano accese partite di corsa e sorpassi con i “tappini” metallici, riempiti di cera liquida prelevata dalle candele accese (con grande gioia dei pievani). Entriamo in Chiesa. Sulla parete di entrata, c’è una grande cantoria di legno dipinto che sorregge un organo dell’organaro “Tronci”, risalente nel complesso al 1883. Essendo meccanico e non essendo suonato, è diventato “rauco” ed ha bisogno di restauro. Si vedrà. Entrati in Chiesa, sulla sinistra (in facciata) c’è un’urna protetta da un vetro di sicurezza e da un allarme; quest’urna contiene la Statua lignea della “Madonna di Rupecava”, scolpita nel 1326 dal famoso scultore Andrea Pisano. E’ veneratissima non solo da Ripafratta, ma da tutto il piano di Pisa e di Lucca. Lo si vede l’8 settembre quando all’Eremo – ormai distrutto dalla stupidità dei vandali moderni – si celebra la “Festa dell’8” con varie S. Messe, Comunioni e… mangiate. Sulla stessa facciata interna, sulla destra c’è un’urna con una povera ed umile statua di gesso del S. Cuore e vi è dipinto un fac-simile di altare, dedicato ai caduti della 1° Guerra Mondiale. Mi sono scordato di ricordare che sugli scalini citati prima, un giorno di qualche anno fa, un giovane liceale, bravo, devoto, intelligente (e anche bello), Paolo Benotto, a me seduto con lui su questi scalini, disse: “Pievano, ai arregga!” (ed io mi arressi agli scalini) “Mi faccio prete!”. Lo si poteva prevedere, ma quella fu una dichiarazione ufficiale. Gli risposi: “Bene, se son rose fioriranno”. E sono fiorite! Paolo, il nostro Paolo, diventò sacerdote, segretario dell’Arcivescovo Matteucci, Parroco di Oratoio, Vicario generale di Pisa, ed ora è Vescovo di Tivoli, vicino a Roma. Auguri, Paolo! Sempre dentro la Chiesa, sulla parete di destra, in fondo, sono murate due pietre: una più grande e poco leggibile ed una più piccola. La più grande era stata la pietra tombale di Matteo Gambacorti, giovane nobile pisano della famiglia Gambacorti, morto di peste qui attorno al 1400. La pietra più piccola è la pietra di fondazione, risalente al 1327, con i nomi di alcuni “fabbriceri”, di una chiesetta romanica, e lesionata gravemente dal terremoto del 14 agosto 1846 alle ore 13, di cui c’è ancora memoria nella “Festa del Voto” e nella laude popolare “D’insolito fragore”. Il piano della Chiesa è riempito di panche abbastanza recenti, offerte dalle famiglie a sostituire quelle più vecchie (ma non antiche) portate a Rupecava quando i vandali fecero la strage della chiesetta distruggendo anche le panche (ma sono sparite anche le “sostitute”). Un’altra urna sempre sulla destra custodisce una “Madonna con Bambino”, moderna opera di Vincenzo Moroder, di Ortisei, e offerta dal fratello dell’attuale Pievano, il sig. Guerrino Maracich. Quest’immagine ha sostituito quella “vestita” che per l’andar del tempo non era più affidabile. Di fronte a questo altare della Madonna, ce n’è un altro, quello del Crocifisso (una bella scultura lignea scura) detto del “Niccolai”, perché fino a non molti anni fa era in custodia per il mantenimento a quella facoltosa famiglia ripafrattese. Ecco poi l’altar maggiore, in marmo, opera del 1800 (essendo del 1854-1857 la costruzione della Chiesa attuale). Fa la sua figura, senza essere un’opera d’arte. I candelieri (come quelli degli altri altari) sono di bronzo e non hanno tanti anni; sostituiscono quelli di legno (che comunque erano senza nessuna pretesa artistica, ma solo quella di essere termiti e scrostati). Ci sono le balaustre di marmo di Siena, che chiudono il presbiterio, l’altarino posticcio “coram populo” e un pulpito offerto dal sig. Carlo Granucci che abitava qui e ideato dal Conte Carlo Biscaretti, nobile torinese legato alla FIAT e amante di Ripafratta. Nel coro, sulla parete, un grande quadro con Madonna e Santi, di recente restaurato con il contributo della Cassa di Risparmio. La nostra Chiesa è sostanzialmente qui. Un padre domenicano, venuto dall’America a cercar notizie sul Beato Lorenzo, pure domenicano, dei “da Ripafratta”, sepolto a Pistoia, avendo visto la nostra chiesetta disse: “Pulchra in simplicitate”, “Bella nella semplicità”. E a noi basta e avanza!

Un Ringraziamento Particolare va ad mons. Mario Maracich che ci ha fornito queste notizie.

LA “MADONNA CON BAMBINO DI RUPECAVA” DI ANDREA PISANO

La statua della Madonna col Bambino rappresenta senza dubbioMadonna di ripafratta uno dei tesori più preziosi di Ripafratta. E’ stata attribuita all’operato di Andrea Pisano e datata attorno al 1340 circa a seguito dei lavori di restauro eseguiti nel 2000, che l’hanno riportata alle tenui tonalità originali dopo che per molti anni era stata coperta da una tinteggiatura eccessivamente forte e non fedele all’originale. La Madonna di Rupecava è scolpita in un solo pezzo (eccezion fatta per braccia e parte superiore del capo) completamente cavo al suo interno. L’effige del Bambino è unita a quella della Vergine per mezzo di un perno, il che fa supporre che la statua potesse essere usata in passato per diverse funzioni. La Madonna, custodita attualmente in questa chiesa, proviene dall’eremo di Rupecava, sito sui monti sopra Ripafratta, luogo di culto e di devozione mariana antichissimo, ex-convento agostiniano, oggi purtroppo diruto.

IL BEATO LORENZO DA RIPAFRATTA

Si racconta che un giorno Santa Caterina da Siena, in viaggio verso Avignone per supplicare il papa di tornare a Roma, transitasse proprio per Ripafratta e, soffermatasi nella piazza del paese, carezzasse un bambino che giocava davanti alla chiesa. Quel bambino sarebbe diventato, un giorno, il Beato Lorenzo. Lorenzo nacque a Ripafratta il 23 marzo del 1373, Beato Lorenzo da ripafrattasecondo la tradizione proprio all’interno della Rocca di S. Paolino. Rampollo della blasonata famiglia dei Da Ripafratta, fu avviato dal padre, Tuccio, agli studi, ma scelse ben presto la carriera ecclesiastica. Ventitreenne, e già diacono, abbracciò la vita religiosa nell’Ordine Domenicano, ottenendo l’abito, pare, dalle mani del Beato Dominici. Fu novizio a Cortona dove rimase fino al 1404; poi ebbe inizio la sua grande opera nel movimento di riforma dell’Ordine, mentre ricopriva il ruolo di lettore e priore a Fabriano e a Pistoia. Fu maestro dei novizi, insegnante di teologia, predicatore e confessore. Proprio a Fabriano e a Pistoia dette prova di grande spirito di carità nell’assistere i malati e i moribondi durante una terribile epidemia di peste. Sant’Antonino, suo discepolo, scrisse di lui: “Nessuno potrebbe reggergli al confronto nello zelo per ascoltare le confessioni, anche quando infieriva la peste…” . E ancora: “Chi giammai da questo padre si partì sconsolato?”. Lorenzo morì, molto anziano, il 27 settembre (giorno in cui la Chiesa lo ricorda) del 1456; il suo corpo è tuttora venerato nella chiesa di San Domenico in Pistoia.f Fu beatificato da Pio IX nel 1851.

Un ringraziamento a “Voci dalla Rocca” per gentile concessione